Bellissima riflessione ❤️ La lingua può essere ciò che ti separa dal gruppo, che ti sottolinea come diverso e al tempo stesso può essere il tuo rifugio sicuro quando tutto intorno è estraneo.
Esatto, tu mi capisci bene in questa cosa mi sa :) Dei Guna ho apprezzato la loro capacità diplomatica e il coraggio di andare in giro per il mondo a raccontare la loro storia, a far capire a tutti l'importanza di conservare la propria cultura. Il nemico però adesso non è Panama ma il cambiamento climatico, è l'ennesima ingiustizia che subiscono perché loro hanno sempre rispettato l'ambiente e lo hanno protetto dal turismo di massa. Sono loro ad accogliere i turisti e gestire gli arrivi, non hanno permesso alle multinazionali del turismo di costruire resort. Nonostante questo, i comportamenti sbagliati del resto del mondo stanno mettendo a rischio la sopravvivenza delle loro case. Di nuovo, è davvero ingiusto. Speriamo che possano continuare a proteggere la loro lingua e cultura.
Il perfetto esempio che dimostra come la crisi climatica sia, oltre che un problema ambientale, un grosso problema sociale, dato che colpisce persone, popolazioni e territori in maniera diseguale!! Grazie però per aver diffuso l'impegno e la resilienza dei Guna <3
Mi sono innamorata di questo numero, bellissimo. Mi sono commossa perché il tema della lingua (e degli accenti e delle migrazioni) mi smuove sempre. Paradossalmente il mio accento mi creava più fastidi quando ero una sarda a Milano che quando sono diventata un'italiana a Barcellona. E da italiana che ha imparato lo spagnolo grazie a una famiglia messicana mi sento vicina al mix di parole migrate e sguardi straniti descritto dall'autrice del libro; vicina, ma non identificata: quella colonizzazione non è una storia mia, anche se è facile percepirne ancora l'impatto.
Grazie mille per le tue parole, mi fai commuovere tu!! Non è facile per una timidona come me aprirmi, ma piano piano lo sto facendo qui, che è un posto protetto. E spero lo sia per chiunque voglia condividere le proprie esperienze come hai fatto tu. Ti capisco, Milano sa essere tagliente e altezzosa come poche altre città, ci vivo da novembre e me ne sono accorta ben presto. Spero Barcellona ti abbia accolta diversamente!
Barcellona è stata un altro mondo, l'accoglienza di cui avevo bisogno in un momento particolare della mia vita.
Il problema non credo fosse tanto Milano come città, ma il pregiudizio meridionalista che crea gerarchie all'interno del nostro stesso Paese (le stesse che esistono anche in Spagna verso certe regioni e accenti, per dire). A Barcellona, invece, sono diventata parte della migrazione "accettabile", quella con il passaporto bordeaux.
Assolutamente, avere la cittadinanza europea purtroppo fa tutta la differenza del mondo. Quando ero a Barcellona (ci ho vissuto un anno) vivevo in un appartamento insieme a una famiglia (due sorelle e i loro bimbi) che venivano dall'Honduras. Una di loro era senza documenti e dormiva sul divano, perché non poteva avere un lavoro regolare e quindi affittare un posto per lei e il figlio. Senza il NIE non fai proprio nulla. L'altra sorella aveva sposato uno spagnolo ed era cittadina, era lei ad affittare a noi stranieri l'appartamento. Come dici tu, il passaporto bordeaux stabilisce spesso come verrai trattato, e a volte è solo questione di fortuna! Nel mio caso, la fortuna è stata il fatto che mio nonno non ha mai voluto prendere la cittadinanza argentina, è sempre rimasto cittadino italiano quando è emigrato, e io l'ho "ereditata". Fa indignare che il valore di una persona dipenda dal colore di un passaporto.
Numero bellissimo! Non so quante persone mi hanno detto: non si sente il tuo accento sardo! Il sottotitolo era: per fortuna! E anche quando parlavo francese, si capiva che ero italiana e qui a Budapest la lingua non imparata, completamente estranea, è quello che mi tiene lontana, che non mi fa chiamare casa questo posto. Il primo sollievo che provo quando torno in Italia è sentire l'italiano tutto intorno a me ❤️
Ci credo! La lingua è la prima porta di accesso a un paese, il primo modo che abbiamo per appartenere o non appartenere a un posto. A volte è una scelta più o meno cosciente, ci sono persone che emigrano e dopo magari vent'anni non hanno ancora imparato bene la lingua del paese di arrivo. Penso sia una piccola forma di ribellione se non ci si è sentiti accolti, o magari una forma di nostalgia per ciò che si è lasciato e che non tornerà più. Per me è una cosa struggente. Quando torni qui definitivamente? Se non ricordo male non ti manca molto, vero?
Che brava che sei Rocío, hai scritto un numero incredibile. Complimenti davvero!
Wow ma grazie, mi fai commuovere!! ❤️ L'ho scritto con il cuore, semplicemente. Mi fa tanto piacere che si noti. Un abbraccio forte e grazie ancora!
Bellissima riflessione ❤️ La lingua può essere ciò che ti separa dal gruppo, che ti sottolinea come diverso e al tempo stesso può essere il tuo rifugio sicuro quando tutto intorno è estraneo.
E che bella la storia di Guna Yala, dà speranza!
Esatto, tu mi capisci bene in questa cosa mi sa :) Dei Guna ho apprezzato la loro capacità diplomatica e il coraggio di andare in giro per il mondo a raccontare la loro storia, a far capire a tutti l'importanza di conservare la propria cultura. Il nemico però adesso non è Panama ma il cambiamento climatico, è l'ennesima ingiustizia che subiscono perché loro hanno sempre rispettato l'ambiente e lo hanno protetto dal turismo di massa. Sono loro ad accogliere i turisti e gestire gli arrivi, non hanno permesso alle multinazionali del turismo di costruire resort. Nonostante questo, i comportamenti sbagliati del resto del mondo stanno mettendo a rischio la sopravvivenza delle loro case. Di nuovo, è davvero ingiusto. Speriamo che possano continuare a proteggere la loro lingua e cultura.
Il perfetto esempio che dimostra come la crisi climatica sia, oltre che un problema ambientale, un grosso problema sociale, dato che colpisce persone, popolazioni e territori in maniera diseguale!! Grazie però per aver diffuso l'impegno e la resilienza dei Guna <3
Grazie mille a te per il tuo commento ❤️😍
Mi sono innamorata di questo numero, bellissimo. Mi sono commossa perché il tema della lingua (e degli accenti e delle migrazioni) mi smuove sempre. Paradossalmente il mio accento mi creava più fastidi quando ero una sarda a Milano che quando sono diventata un'italiana a Barcellona. E da italiana che ha imparato lo spagnolo grazie a una famiglia messicana mi sento vicina al mix di parole migrate e sguardi straniti descritto dall'autrice del libro; vicina, ma non identificata: quella colonizzazione non è una storia mia, anche se è facile percepirne ancora l'impatto.
Grazie mille per le tue parole, mi fai commuovere tu!! Non è facile per una timidona come me aprirmi, ma piano piano lo sto facendo qui, che è un posto protetto. E spero lo sia per chiunque voglia condividere le proprie esperienze come hai fatto tu. Ti capisco, Milano sa essere tagliente e altezzosa come poche altre città, ci vivo da novembre e me ne sono accorta ben presto. Spero Barcellona ti abbia accolta diversamente!
Barcellona è stata un altro mondo, l'accoglienza di cui avevo bisogno in un momento particolare della mia vita.
Il problema non credo fosse tanto Milano come città, ma il pregiudizio meridionalista che crea gerarchie all'interno del nostro stesso Paese (le stesse che esistono anche in Spagna verso certe regioni e accenti, per dire). A Barcellona, invece, sono diventata parte della migrazione "accettabile", quella con il passaporto bordeaux.
Assolutamente, avere la cittadinanza europea purtroppo fa tutta la differenza del mondo. Quando ero a Barcellona (ci ho vissuto un anno) vivevo in un appartamento insieme a una famiglia (due sorelle e i loro bimbi) che venivano dall'Honduras. Una di loro era senza documenti e dormiva sul divano, perché non poteva avere un lavoro regolare e quindi affittare un posto per lei e il figlio. Senza il NIE non fai proprio nulla. L'altra sorella aveva sposato uno spagnolo ed era cittadina, era lei ad affittare a noi stranieri l'appartamento. Come dici tu, il passaporto bordeaux stabilisce spesso come verrai trattato, e a volte è solo questione di fortuna! Nel mio caso, la fortuna è stata il fatto che mio nonno non ha mai voluto prendere la cittadinanza argentina, è sempre rimasto cittadino italiano quando è emigrato, e io l'ho "ereditata". Fa indignare che il valore di una persona dipenda dal colore di un passaporto.
Ahhh ho letteralmente cercato questo libro in biblioteca stamattina!!! Siamo connesse!! ❤️
Ma daiiii che storia!!! Sicuramente ti toccherà, ti parlerà come ha fatto con me. Sì, siamo connesse ❤️ Un abrazote!
Numero bellissimo! Non so quante persone mi hanno detto: non si sente il tuo accento sardo! Il sottotitolo era: per fortuna! E anche quando parlavo francese, si capiva che ero italiana e qui a Budapest la lingua non imparata, completamente estranea, è quello che mi tiene lontana, che non mi fa chiamare casa questo posto. Il primo sollievo che provo quando torno in Italia è sentire l'italiano tutto intorno a me ❤️
Ci credo! La lingua è la prima porta di accesso a un paese, il primo modo che abbiamo per appartenere o non appartenere a un posto. A volte è una scelta più o meno cosciente, ci sono persone che emigrano e dopo magari vent'anni non hanno ancora imparato bene la lingua del paese di arrivo. Penso sia una piccola forma di ribellione se non ci si è sentiti accolti, o magari una forma di nostalgia per ciò che si è lasciato e che non tornerà più. Per me è una cosa struggente. Quando torni qui definitivamente? Se non ricordo male non ti manca molto, vero?
Tornerò a luglio! :) evviva!
Daiiii!! Se sei vicino a Milano scrivimi che magari ci vediamo di persona! ❤️
certoooo! molto volentieri!