Un nastro attorno a una bomba o a una bambola?
L'arte di Frida Kahlo è ancora "un nastro attorno a una bomba", come la definì André Breton, o la pittrice messicana sta diventando la nuova Hello Kitty?
Un paio di giorni fa (il 13 luglio) ricorreva l’anniversario della morte di Frida Kahlo. Sono passati ben settant’anni ma il suo viso è ancora ovunque, stampato su borse di tela, orecchini, spillette, t-shirt, tazze, bottiglie di tequila e persino sul braccialetto indossato più volte dalla premier inglese Theresa May (le cui idee politiche avrebbero fatto inorridire Frida, notoriamente comunista).
Camaïeu, Vans e Calzedonia hanno lanciato collezioni ispirate a lei. Madonna si è ispirata alla sua estetica nel video di “Bedtime story”, trasformando il corsetto che per Frida era una necessità – data la sua altrettanto nota sofferenza fisica – in un accessorio di moda.
La Mattel nel 2018 lanciò una Barbie Frida che scatenò tantissime polemiche, dato che i produttori avevano diviso in due il celebre monosopracciglio, privando la bambola di un dettaglio a cui Frida teneva tantissimo. Per questo la pronipote dell’artista messicana alla fine fece causa alla Mattel e la vinse, ottenendo il blocco delle vendite in tutti gli Stati Uniti.
Eppure, nel 1954 Frida è morta ben lontana dalla fama. Negli anni ‘60, agli albori del femminismo, le artiste iniziarono a fare ricerche sulle donne nella storia dell'arte e scoprirono la figura di Frida Kahlo: è lì che cominciò la trasformazione in icona. Negli anni ‘90, molte mostre in giro per il mondo iniziarono a esporre le sue opere e ci si accorse che il suo stile unico si prestava benissimo a essere riprodotto su qualsiasi tipo di gadget. Fu lì che ebbe inizio la “Fridolatria”, una valanga che ha portato allo sfruttamento folle della sua immagine a cui assistiamo oggi.
Luis-Martìn Lozano, storico dell’arte ed ex-direttore del Museo de Arte Moderno di Città del Messico, è convinto che l’attenzione ossessiva sulla persona di Frida piuttosto che sulla sua produzione artistica sia diventata nei musei un ostacolo a qualsiasi proposta curatoriale che non abbia le sue vicende private o le sue sopracciglia in evidenza:
La maggior parte delle persone alle mostre sono interessate alla sua personalità: chi è, come si veste, con chi va a letto, i suoi amanti, la sua storia (…) Ripeti le stesse cose e venderà, perché tutto di Kahlo vende. È un peccato dirlo, ma è diventata una merce. Questo spiega perché (mostre e libri) non lo fanno: andare oltre, non ne hanno bisogno.
Beatriz Alvarado, International Affairs Manager della Frida Kahlo Corporation, afferma invece con schiettezza che l’artista messicana, insistendo lei stessa sull’autoritratto e sull’abbigliamento tipico con cui appariva in pubblico, «in un certo senso si è venduta e noi stiamo solo facendo quello che ha fatto lei».
Dove sta la verità? Ogni opera di Frida viene interpretata come un esorcismo della sofferenza, alla luce delle disgrazie che le capitarono in vita: lo scontro tra l’autobus su cui viaggiava e un tram, che le fratturò la colonna vertebrale a diciott’anni rovinandole il resto della vita. E poi gli aborti, l’amore travagliato con il pittore messicano Diego Rivera, l’amputazione della gamba destra ecc. ecc.
Oggi Frida è raffigurata come una martire o un simbolo per qualsiasi tema che vada dal femminismo alla fluidità sessuale fino all’anticapitalismo. Non dobbiamo però dimenticare che era nata nella ricchezza, che ha incoraggiato il gossip su di sé e su Diego Rivera diffuso dai media dell’epoca e ha falsificato alcuni dati della sua vita per ricoprire meglio la figura che si era consapevolmente costruita: era nata nel 1907, ma diceva di essere nata nel 1910 – anno d’inizio della Rivoluzione messicana – in modo che la gente la associasse a essa.
E, per quanto riguarda la storia d’amore con Diego Rivera, sfatiamo vi prego il mito del romanticismo sofferto che tanto piace e vende. Quello tra Diego e Frida fu un rapporto malsano, una dipendenza emotiva dalla quale Frida non riusciva e forse non voleva liberarsi.
Probabilmente lei stessa fu la prima a decidere come desiderava essere consumata. Si definiva la «gran ocultadora» (la grande occultatrice) e dovremmo quindi andare cauti quando ci addentriamo nell’interpretazione della sua arte e della sua vita.
🎙️ Per provare a farlo, mi sono affidata a Paola Zoppi (che ringrazio anche qui!), giornalista torinese e appassionata studiosa della figura di Frida Kahlo. Ha pubblicato qualche settimana fa il libro In Messico con Frida Kahlo, una nuova “puntata” della ormai famosa collana Passaggi di dogana di Giulio Perrone editore (ringrazio intanto anche qui l’editore per avermi inviato una copia, grazie per la fiducia!)
Sudestada: Ormai su Frida si è detto di tutto, non sembrano esserci più misteri da svelare o aspetti sconosciuti della sua vita. Se sicuramente non sarà stato un problema per te reperire documenti e materiali, qual è stata la difficoltà maggiore che hai incontrato durante la stesura del tuo libro?
Paola Zoppi: Il primo cruccio che ho avuto quando ho iniziato a scrivere questo libro è stato: che cosa avrei potuto scrivere di nuovo su Frida Kahlo? Come giustamente sottolinei, oggi le opere edite, gli articoli di giornale o i lavori di ricerca su Frida sono innumerevoli. Tuttavia, sapere che il libro sarebbe stato inserito nella collana Passaggi di dogana di Giulio Perrone, e quindi una collana che specificamente vuole raccontare il personaggio scelto attraverso i luoghi, è stato un filtro che mi ha permesso di rompere il ghiaccio. Ho scelto poi di non fermarmi ai luoghi fisici in cui Frida ha vissuto e creato, ma mi sono chiesta: dove possiamo trovare Frida Kahlo oggi e dove si può trovare la vera essenza di questa artista? Per questo insieme ai luoghi fisici e reali, ho deciso di parlare di non-luoghi che secondo me, raccontano molto di Frida Kahlo o ne danno una loro versione.
Sudestada: Frida è stata lei stessa pioniera del suo culto, come dici tu, e ha rappresentato nelle sue circa 150 opere principalmente sé stessa. Ti sei fatta un'idea del perché abbia dipinto quasi esclusivamente degli autoritratti?
Paola Zoppi: Credo che Frida a partire dal grave incidente che la vede coinvolta nel 1925 e che le lascerà danni fisici importanti, tanto da portare il suo corpo a una "disintegrazione", abbia avuto un grande desiderio, quello di esistere. Per me, dipingere il suo volto è stato un modo per confermare a sé stessa di esserci stata, di aver vissuto la propria esperienza terrena, una conferma della tangibilità del suo corpo. Ho riflettuto sul fatto che spesso sono i figli a rappresentare questa rassicurazione, aver messo al mondo un figlio è la conferma dell'aver vissuto il tempo dell'esistenza, ma Frida non diventando madre attribuirà questo ruolo alla sua arte.
Sudestada: Nel tuo libro a un certo punto racconti come André Breton, incontrandola in Messico, abbia affermato che l'arte di Frida fosse indubbiamente di natura surrealista. Ma, a quest'affermazione, Frida rispose: «Non avevo mai saputo di essere una surrealista finché Breton non è venuto in Messico a comunicarmelo. La sola cosa che so è che dipingo perché ne ho bisogno e dipingo sempre quello che mi passa per la testa, senza pensare ad altro». C'è un altro punto nel tuo libro in cui parli di un articolo apparso sul New Yorker nel 1938 e scritto da due giornalisti statunitensi che, dopo aver visitato una mostra in cui erano esposte delle opere di Frida e lei stessa era presente, la descrissero con scherno per via dei suoi abiti tradizionali messicani. Infine, oggi la "Fridamania" sembra essere un'altra (l'ennesima) mal interpretazione della sua figura, perché la sua riscoperta passa prima attraverso la sua biografia e la sua immagine ormai diventata "pop", e poi per la sua opera. Tu pensi che Frida sia mai stata davvero compresa, sia dai suoi contemporanei che da noi stessi oggi?
Paola Zoppi: È sempre difficile comprendere fino in fondo un artista, che si tratti della sua opera o della sua esistenza, tuttavia le tele di Frida Kahlo sono così dialogiche da riuscire a interagire con l'osservatore a distanza di anni dalla loro realizzazione, lo lasciano libero di provare empatia con i suoi quadri. Che non fosse compresa dai suoi contemporanei, o che oggi sia ancora possibile dare un'interpretazione alle sue opere, ci comunica quanto, conoscendo l'artista e il contesto in cui ha creato, l'arte ci lasci liberi di dare la nostra chiave di lettura.
Sudestada: Hai scelto di introdurre ai lettori il personaggio di Frida attraverso una mappa astrale. Sostieni che, partendo dalla data e dall'ora di nascita di Frida, si possano delineare quelle che erano già le sue caratteristiche prima che il mondo la influenzasse: una forte determinazione e la consapevolezza, che maturerà con gli anni, di essere un'artista. Come ti è venuta l'intuizione di ricostruire la mappa astrale di Frida?
Paola Zoppi: Quando ho iniziato a scrivere questo libro ho pensato subito a una mappa astrale, è stato un mio desiderio: conoscere il bagaglio di caratteristiche che Frida possedeva al momento della sua nascita e introdurre al lettore la sua storia partendo anche da questo. Per me è stato sorprendente scoprire quante caratteristiche della Frida adulta ci fossero già nel momento in cui viene al mondo il 6 luglio 1907.
Sudestada: Hai dedicato un intero capitolo al "bagno" o "stanza segreta" della Casa Azul. Si tratta di una stanza chiusa a chiave il giorno della morte di Diego Rivera, il quale per testamento aveva disposto che questa parte della casa non dovesse mai essere aperta se non quindici anni dopo la sua morte. La stanza fu riaperta nel 2003, riportando alla luce un vero tesoro. Quale degli oggetti di Frida ritrovati ti ha colpito di più, o ti ha fatto capire qualcosa di nuovo su di lei?
Paola Zoppi: Guardando le fotografie che sono state scattate agli oggetti ritrovati in quella parte della Casa Azul riaperta dopo tanti anni, mi hanno colpito gli oggetti che hanno avuto a che fare con il suo corpo, attraversati dal suo corpo, consumati dal suo corpo. In qualche modo, anche se oggetti inanimati, riescono tutt’oggi a farlo rivivere.
Prima di salutarci, come al solito non possono mancare:
🎧 Consiglio musicale: la leggenda dice (ma nulla è confermato) che Chavela Vargas, la grandissima cantante di musica ranchera messicana dalla voce profonda e impastata dalla tequila, visse una storia d’amore con Frida Kahlo. In una lettera scritta al poeta e suo intimo amico Carlos Pellicer, Frida racconta del primo incontro con Chavela, che definisce “straordinaria, lesbica, anzi, mi ha proprio attratto eroticamente”.
In quel momento Frida stava divorziando da Diego Rivera, dopo il tradimento di lui con Cristina, sorella della stessa Frida. Chavela rimase a vivere nella Casa Azul con lei finché un giorno, senza spiegazioni, le disse che doveva andarsene. E Frida forse rimase ferita, ma la lasciò andare. Anni dopo, Chavela riconobbe ciò che aveva provato per Frida e le dedicò la triste canzone “Paloma Negra”.
🎥 Da vedere: oltre al famosissimo film che sicuramente conoscete in cui Frida Kahlo è interpretata da Salma Hayek, vi consiglio un film del 1986 diretto dal regista messicano Paul Leduc, “Frida, naturaleza viva”. Il film non ha un filo logico o temporale, è un insieme vivido di immagini e ricordi che rappresentano la vita interiore ed esteriore di Frida. Si può vedere gratuitamente qui (in spagnolo).
Mi è piaciuto molto anche il documentario “Frida” di Carla Gutiérrez, vincitore del U.S. Documentary Jonathan Oppenheim Editing Award al Sundance Film Festival di quest’anno. Il documentario è incentrato su una voce fuoricampo che legge diari e lettere che Frida scrisse di suo pugno nel corso della sua vita. Si trova su Prime Video, potete vedere il trailer qui.
Messaggio di servizio: quest’estate la passerò studiando per un progetto che mi fa una paura assurda. Purtroppo ho un lato del mio carattere parecchio kamikaze, se una cosa mi terrorizza mi ci butto a capofitto. Diciamo che l’unica cosa che l’età mi ha insegnato è il detto del buon Trapattoni “non dire gatto se non l’hai nel sacco”, perciò per ora preferisco non dirvi nulla. Spero mi capirete.
Sudestada quindi torna a metà settembre, in modo da avere tempo per concentrarmi su altro. Non mi va di pubblicare una puntata frettolosa, non sarebbe giusto nei confronti di tuttə voi che mi regalate un po’ del vostro tempo ogni mese. E di questo vi sono enormemente grata!
Mi trovate comunque su Instagram, dove pubblico contenuti ogni settimana e vi racconto curiosità, personaggi letterari e recensioni di libri.
Per finire: se ti è piaciuta questa puntata di Sudestada e vuoi inoltrarla a qualcuno che potrebbe apprezzarla, ti facilito il tutto con questo pulsantino 😉
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Un abrazo, vi voglio bene! Passate un’estate di riposo e prendetevi cura del vostro corpo e della vostra mente! ❤️
Rocío, alias Clavel del aire.
Il mio incontro con Frida Kahlo risale al 1996 quando trovai su una bancarella estiva di cianfrusaglie una cartolina con una sua opera che mi colpì tantissimo, La Columna Rota. La comprai senza saperne niente e iniziai a coltivare un culto privato culminato nella grande mostra del 2014 alle Scuderie del Quirinale a Roma. Partii apposta da casa per andare a vederla, sola, 8 ore di treno a tratta perché decisi la sera per la mattina e non c'era più posto sul volo. C'erano tante persone e se ne faceva già un gran chiacchiericcio, ma eravamo ancora io e lei e quel nostro dialogo privato. Ho continuato a preservarlo, tenendolo al riparo più possibile dal discorso pop che si è costruito intorno a lei. Sono contenta di leggerne qui, con i tuoi toni e il contributo di Paola Zoppi.
È davvero incredibile quanto, a volte, certi fenomeni impazziti riescano a distruggere e delegittimare il senso profondo delle cose e delle persone per farne icone pop a proprio uso e consumo.
Il fenomeno Frida Kahlo in tal senso è stato tra quelli che in assoluto, forse, ha suscitato in me un imbarazzo e una repulsione tale da farmene erroneamente allontanare.
Dunque, grazie per questo racconto. Leggerò sicuramente il libro di Paola Zoppi per provare a recuperare un nuovo sguardo e la sua vera essenza.