La fantasia goccia a goccia
Non c'è nulla di più transumante delle storie, dice il cantastorie cileno Andrés Montero. Passeggiano per secoli, per millenni, andando di voce in voce, di terra in terra, di fuoco in fuoco.
Sudestada ritorna dopo la pausa estiva con la voglia di essere un po’ più intimista e personale. In fondo, queste parole arrivano nella casella di posta elettronica della maggior parte di voi, quindi il nostro è già per forza di cose un rapporto personale.
Non parlerei di maturazione, Sudestada è ancora una bambina piccola che trema ogni volta che devo cliccare su “pubblica”. Semplicemente, per me ogni puntata di questa newsletter sarà anche un modo per aprirmi un pochino di più a voi, per esplorare un po’ di più le radici latinoamericane che per tanto tempo ho preferito soffocare.
Ho sempre cercato di omologarmi, integrarmi, fare in modo che la mia storia fosse uguale a quella delle altre persone nate in Italia, almeno in apparenza. Ma poi c’era il mio nome… Edgar Allan Poe aveva il “cuore rivelatore”, io il nome. “Rocío, che nome particolare… di dove sei?”.
Il mio nome è sempre stato lì, a volte saggio, a volte dispettoso, a ricordarmi quale fosse la mia storia. E che non c’era niente di male nell’essere un’immigrata.
Ognuno di noi ha addosso qualcosa che rivela la sua storia. C’è chi se ne vergogna e lo nasconde, e chi ne fa un segno identitario. In fondo, noi esseri umani non siamo altro che un fascio di storie.
Ecco, allora in questa puntata parleremo di storie.
Do il benvenuto intanto a tutte le persone che si sono iscritte durante la pausa estiva, siete statə tantissimə! Sono ancora incredula, grazie mille!
Perché le storie sono ancora così importanti? In fondo – come diceva amaramente José Saramago –nemmeno i più grandi romanzi della letteratura di tutti i tempi, nonostante abbiano denunciato le peggiori miserie umane e ci abbiano avvertito delle tragedie che avremmo potuto provocare, sono serviti a cambiare di una virgola la storia dell’umanità.
In effetti, se ci guardiamo intorno, sembra proprio vero che la letteratura non serva a nulla. Ma se le storie fossero davvero inutili, allora la logica utilitaristica dell’evoluzione le avrebbe ben presto eliminate, considerandole uno spreco di tempo ed energia, no?. E invece stiamo ancora qua, dopo secoli e secoli, a raccontarci storie.
Qualcuno, come il cileno Andrés Montero, ne ha fatto persino un mestiere. Al Festivaletteratura di Mantova si è presentato proprio così, non uno scrittore ma un “cantastorie viaggiatore”. Ha fondato una compagnia teatrale chiamata “Matrioska” con cui viaggia per tutta l’America Latina, andando per le scuole a raccontare storie agli adolescenti, ma anche agli adulti facendo spettacoli in bar, ristoranti e teatri.
“La cosa che mi piace di più è che viaggiare ci dà la possibilità di raccogliere le storie raccontate dagli anziani, perché se queste storie non vengono ascoltate potrebbero andare perse per sempre”, ci ha detto durante l’incontro.
«La letteratura è mentire bene la verità», disse lo scrittore uruguaiano Juan Carlos Onetti. Forse questa frase racchiude il motivo per cui ancora ci raccontiamo storie.
Ciò che facciamo con le storie, ciò che fanno gli scrittori con i loro romanzi, è cancellare una bugia attraverso l’immedesimazione. I romanzi sono una simulazione della realtà; noi sappiamo benissimo che si tratta di una finzione, ma quando leggiamo facciamo finta di dimenticarlo per immedesimarci in quei personaggi, per addentrarci in quel mondo.
Ma, se ci pensiamo bene, anche tutto ciò che viviamo ogni giorno è una simulazione della realtà, che è filtrata attraverso le nostre interpretazioni, le nostre emozioni e la “lettura” personale che ne facciamo.
Ognuno di noi cerca qualcosa nei libri e nelle storie, e se lo troviamo è perché era già dentro di noi. Le storie ci aiutano a portarlo in superficie. Ecco perché non smetteranno mai di essere necessarie.
La materia prima con cui lavora Andrés Montero sono in particolare i racconti orali e ammette che la sua principale influenza in questo senso è sempre stata Juan Rulfo. Lo scrittore messicano faceva il rappresentante di pneumatici, girava per lavoro tutto il Messico e, vendendo, ascoltava le persone. Man mano che conosceva il suo paese, si rendeva conto che c’erano tantissime storie da raccontare, e queste storie divennero la materia prima dei suoi romanzi. Così, come un falegname sceglie un certo tipo di legno, Juan Rulfo scelse le storie del Messico.
Andrés Montero nel suo romanzo di esordio Tony Nessuno (vincitore nel 2017 del Premio Iberoamericano de Novela Elena Poniatowska e pubblicato nel 2018 in Italia da Edicola Ediciones), parte con un personaggio per cui raccontare storie è proprio una questione di sopravvivenza: la Sherazade di Le mille e una notte.
In quel periodo si parlava moltissimo di femminicidio in Cile e Andrés Montero stava frequentando un workshop di narrazione orale. Una sua compagna di corso era iraniana, e fu lei a dargli lo spunto di Le mille e una notte. Andrés Montero si rese conto di come la forza patriarcale del re Shahriyār, che ogni notte uccideva una vergine dopo averla sposata, arrivasse con molta violenza al nostro presente. È tristemente ancora qui. E allora, con un espediente narrativo originalissimo, Montero riporta Le mille e una notte al presente, in Cile e dentro un circo – il Grande Circo Garmendia – un polveroso e misero baraccone i cui bizzarri personaggi cercano di campare come possono.
Tu per esempio, quando voli da un trapezio all'altro, se cadi, che ti succede? Ti ammazzi, bambina, ti spacchi la testa e via. Il circo è la pura verità, di che illusione stiamo parlando? Sono gli altri che vivono nell’illusione. A noi non ci illude nessuno, noi sappiamo come vanno queste cose. Se la gente viene al circo, noi mangiamo bene e riposiamo meglio. Se la gente non viene, mangiamo male e lavoriamo come matti finché non arriva qualcuno. Così vanno le cose. Questa è la verità.1
Un giorno arriva al circo un arabo misterioso che si porta dietro un bambino e due volumi antichi contenenti i racconti di Le mille e una notte. Chiede a Malaquías, il direttore del circo, di tenergli il bambino per qualche ora mentre lui svolge delle commissioni, ma non torna più. Abbandona bambino e libri per sempre.
Il bambino è sempre silenzioso, distante da tutti e ha occhi scuri e vuoti. I circensi per pietà decidono di tenerlo, ma lo chiameranno sempre “Tony2 Nessuno”. L’unica ad affezionarsi a lui è Javiera, piccola trapezista che, dopo un incidente, non riesce più a fare il suo numero e decide perciò d’imparare a memoria i racconti dei due tomi portati dall’arabo. Così, sul palco del circo, ogni notte li recita per il pubblico e diventa Sherazade.
Tony Nessuno è una favola malinconica e oscura, un’ode al mistero magnetico delle storie orali che sembrano avere una vita propria e tramandarsi per secoli e secoli, portandosi dietro paure ancestrali, violenza e tutta la fragilità dell’essere umano. Sin dall’inizio del romanzo percepiamo un senso di fatalità, confermato dal finale sorprendente… Devo dirvi però la verità: non mi ha convinta del tutto il modo in cui Andrés Montero è arrivato a quella conclusione.
Sono stata completamente risucchiata nella storia, nella magia dei racconti di Javiera che battono qualsiasi numero da circo, ma ho avuto a tratti l’impressione che il modo in cui si arriva al finale fosse un po’ frettoloso. L’alternanza tra i due piani in cui si svolge la narrazione (quello presente del Grande Circo Garmendia e quello passato di Le mille e una notte) a tratti sembra un artificio estetico un po’ forzato, ma sicuramente godibile. Come ha detto Federico Buffa durante la presentazione, “Andrés Montero irrora tutto con una fantasia galoppante”.
Ho adorato invece la seconda opera narrativa di Andrés Montero pubblicata in Italia da Edicola Ediciones e tradotta sempre dalla bravissima Giulia Zavagna: la raccolta di racconti La morte goccia a goccia.
Ho letto da qualche parte online che questo libro è come “uno stufato di lenticchie che va dritto all’anima”. Mi sembra un riassunto perfetto. Siamo nel sud del Cile, c’è la pioggia, mentre leggi ti sembra di sentire sulla pelle l’umidità dell’oceano d’inverno, l’odore di pesce sulle barche dei pescatori. Si parla di morte, ma nella sua forma più mistica e poetica. Tutti i personaggi, racconto dopo racconto, sono chiamati a raccontare la loro storia, e queste sei storie si uniscono alla fine come fili che compongono un arazzo.
Si sente una penna più matura, una struttura più solida e la meraviglia comincia già nel titolo: in spagnolo è La muerte viene estilando, dove “estilar” è un termine cileno che significa “gocciolare”. Andrés Montero ha vissuto per un anno nelle terre agresti del sud del Cile, tra pioggia e freddo, e i vecchi quando lo vedevano bagnato gli dicevano “estás estilando” (“stai gocciolando”).
I personaggi, rudi pescatori che sembrano discendere da I Malavoglia di Verga, e donne irrigidite dalle privazioni e dalla mancanza di amore, vivono un’esistenza che viene consumata goccia a goccia sempre allo stesso modo, senza possibilità di cambiare.
Vi lascio un passaggio che mi ha davvero commossa:
Non mi preoccupa sapere che quando morirò anche tu faticherai a ricordare la mia faccia e la mia voce. Sai perché? Perché io ti ho avuto tra le braccia, e perché ho imparato a tessere con mia madre, e perché mi sono presa migliaia di infusi guardando il mare. Questo nessuno lo sa e a nessuno importa e per lo stesso motivo è chiaro che nessuno lo ricorderà, ma io ce l’ho qua dentro, e quando verrà la morte la potrò guardare e chiederle quanti figli ha avuto lei, quanti cucchiaini di zucchero ha messo nel suo té, quante volte ha visto un gabbiano gettarsi in picchiata nel mare e uscire di nuovo verso il cielo con un pesce. E la morte non potrà dirmi nulla, perché la morte è questo: la morte. La morte è invidiosa di noi che abbiamo avuto una vita. E non sai l’invidia che le prende quando vede che altra gente si congeda da quelli che lei si porta via, quando sente la gente parlare e dire cose belle del morto; tu non sai, Martín, che rabbia sente la morte per ogni lacrima versata per un defunto, perché nessuno verserà mai una lacrima per lei3.
Questo libro sembra volerci dire che morire non è il problema, piuttosto la domanda è come vogliamo vivere la nostra esistenza, quei giorni che scorrono via, goccia a goccia. Alla fine dell’incontro, Andrés Montero ci ha lasciati dicendo che la cosa che conta non è tanto il contenuto delle storie, ma il fatto di trovarci tutti insieme ad ascoltarle.
Possiamo affrontare questo secolo raccontandoci storie.
🎧 Consiglio musicale + 🎥 Da vedere: non sono una tipa da canzoni romantiche, soprattutto quelle su amori tormentati e sofferti. Mi scatta il rigetto, forse perché vorrei che quella fase della mia vita rimanesse ben chiusa dentro un armadio a quattro ante, por favor.
Perciò la prima volta che ho ascoltato il testo di Tu falta de querer, la più famosa canzone della cantautrice cilena Mon Laferte, ho avuto un maledetto déja vu (quando dice “Ahora dormiré / Muy profundamente para olvidar / Quisiera hasta la muerte, para no pensar4”) e non ne volevo più sapere di lei.
Ma poi non so cosa è successo, la voce di Mon Laferte continuava a risuonarmi in testa, dolcissima e al tempo stesso incazzata, come se volesse mandare a fanculo esta pinche vida. Mon Laferte ti canta nelle viscere.
E allora ho guardato il suo documentario su Netflix, Mon Laferte, te amo, e l’ho capita. Nata in un sobborgo povero della patinata Viña del Mar (Cile), a 7 anni i suoi genitori divorziano, il padre perde la battaglia legale per la custodia di Mon e della sorella e sparisce dalle loro vite, anche economicamente.
Mon passa l’infanzia mangiando pane duro e scrivendo le sue prime canzoni. Vuole diventare come la nonna, detta nel quartiere “la regina del bolero”, una delle poche donne in quegli anni a scrivere i testi delle proprie canzoni. Il nuovo compagno della madre abusa di lei, finisce a cantare per strada dove incontra un bastardo che dice che le farà da “manager”, che è stato Dio a farli incontrare, ma abusa di lei come aveva già fatto con altre minorenni.
Riesce a entrare in un talent televisivo, altri abusi da parte di uno dei produttori, che lei denuncia inutilmente. Oggi, Mon Laferte ce l’ha fatta: è una delle più talentuose e toste cantautrici latinoamericane, ha vinto un Latin Grammy nel 2017, ha continuato a fare concerti fino all’ottavo mese di gravidanza, ha cantato al Coachella e al Madison Square Garden. Ma, soprattutto, ha saputo lasciare andare il dolore e ribellarsi agli abusi attraverso i testi delle sue canzoni (il testo di A crying diamond è da brividi) e l’attivismo femminista. Ai Latin Grammy del 2019 si è presentata così:
Sembra la classica storia del viaggio dell’eroina (tornando al filo conduttore di questa puntata), ma è molto di più: è la storia della donna latinoamericana, costretta a reinventarsi e a ricominciare da capo con il poco che ha e avendo sempre tutto contro. È terribilmente reale.
Mon Laferte ha anche delle canzoni allegre eh, eccone una che adoro in duetto con Juanes.
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Un abrazo! ❤️ Ci sentiamo il 15 ottobre, forse con una puntata più breve perché è un periodo un po’ tosto e stressante per me, spero passi presto.
Rocío, alias Clavel del aire.
Andrés Montero, Tony Nessuno, Edicola Ediciones, pag. 46-47.
“Tony” è il nome che in Cile si dà ai pagliacci.
Andrés Montero, La morte goccia a goccia, Edicola Ediciones, pag. 108 (sul kindle). Questo frammento è tratto da un dialogo tra l’anziana Eulalia e il figlio Martín.
“Adesso dormirò / molto profondamente per dimenticare / vorrei persino la morte per non pensare”
Mi sono recuperato proprio verso giugno un paio di cose di Rulfo (La pianura in fiamme e Páramo) e ne sono rimasto estasiato. Se Montero dice di ispirarsi a lui allora non posso che accogliere i consigli. Grazie Rocío per il lavoro di ricerca sempre super approfondito!
Sono una di quelle persone che si sono iscritte durante la pausa estiva, quindi per me è un po' come se questa fosse la prima puntata della tua newsletter.
Risultato? Ho scritto su un foglietto i titoli di tutti i libri che hai raccontato, mi sono commossa un paio di volte e sto ascoltando Mon Laferte.
Che dire, se non grazie?!