Prima puntata di Sudestada... ahí vamos! ✈️
Uno spazio più intimo (ma dove di certo non staremo più stretti!) che viaggia dalla letteratura alla musica, dall'attualità alle serie TV senza uscire dal continente latinoamericano.
Ringrazio te che stai leggendo per avermi fatto entrare nella tua casella di posta elettronica! So che sarà difficile farmi notare, tra mail di promozioni, sconti, notifiche ammiccanti ecc.
Ma io comparirò solo una volta al mese, non preoccuparti. Il 15 di ogni mese, giorno più, giorno meno. E il mio intento è quello di creare un ambiente più intimo rispetto al blog e alle mie pagine Instagram e Facebook. Qui non voglio parlare al mondo (sì, vabbè, non esageriamo… piuttosto, come direbbe il buon Manzoni, “ai miei venticinque lettori”, o anche meno nel mio caso!🤣), ma soltanto a te. Come se stessimo chiacchierando davanti a un buon mate.
Ho deciso di creare una newsletter per uscire un po’ dalle regole che mi sono data per il blog; qui parlerò anche di libri appena pubblicati e non solo di quelli usciti tempo fa e dimenticati, ti racconterò di presentazioni di libri a cui vado, di serie TV che secondo me meritano, ti coinvolgerò in percorsi musicali e gastronomici, e molto altro che m’inventerò di volta in volta. Con un solo limite: tutto quello che comparirà qui non uscirà dai confini dell’America Latina.
Vamos!! 🛩️
📚 L’11 marzo in Salaborsa a Bologna c’è stata la presentazione del memoir L’invincibile estate di Liliana della scrittrice messicana Cristina Rivera Garza, edito da Sur. Se non l’hai ancora letto, te ne parlo brevemente: il 16 luglio 1990 la sorella della scrittrice, Liliana, fu assassinata nell’appartamento dove viveva come studentessa fuorisede a Città del Messico. Era all’ottavo semestre di architettura, aveva vent’anni e tanta voglia di futuro. Voleva fare un master a Londra, riempiva quaderni di pensieri e poesie, lasciava ovunque bigliettini affettuosi per amici e parenti. Aveva allontanato definitivamente (così credeva, purtroppo) Ángel, un ragazzo che la tormentava e con cui aveva da anni una relazione tossica. Ma lui quella notte d’estate aveva deciso che lei non avrebbe avuto un futuro senza di lui.
Trent’anni dopo, la famiglia Rivera Garza non ha ancora avuto giustizia. Ángel è fuggito, e la polizia non l’ha mai arrestato. Cristina Rivera Garza non è mai riuscita a superare quel dolore e il senso di colpa per non avere capito, per non essere riuscita a proteggere la sorella dal pericolo.
Quando ci siamo spezzate, Liliana, quando la macchina del patriarcato ci ha raggiunte per triturarci il corpo e il cuore, per radere al suolo il passato e il futuro, è stato, sì, cercando di uscire [pag. 288].
La storia di Liliana ci è tristemente familiare. Nel 2023 in Italia sono state uccise 118 donne, di cui 96 in ambito domestico. Ti confesso che questo libro mi ha davvero spezzato il cuore.
Io sono stata in una relazione tossica per quasi sette anni. Sette anni di manipolazioni, di love bombing alternato a gaslighting, di sentirmi sempre inferiore e mai abbastanza per lui. Da fuori, le persone ti chiedono sempre: ma come hai fatto a non rendertene conto?
Perché sei rimasta lì?
Non ho mai saputo come rispondere a questa domanda. A quante di noi è successa la stessa cosa? Probabilmente ero cieca, probabilmente non mi amavo abbastanza. Liliana ero io, mentre leggevo. E poi, nelle pagine 224-225, ho trovato la risposta:
Perché Liliana continuava a tornare a una relazione che, almeno da fuori, le offriva solo instabilità e dolore? In No Visible Bruises, Snyder propone due domande alternative. La prima: perché l’aggressore continua a tornare? La seconda: qual è la reazione più logica quando si viene attaccati da un orso? La risposta alla prima domanda apre il campo alle molte cose che ancora dobbiamo scoprire sulle mascolinità atrofizzate in un contesto patriarcale. La seconda, aggiungeva Snyder, ci porta direttamente a un momento decisivo, a una questione di vita o di morte.
Se un orso ti attacca, lo attacchi a tua volta, sapendo che può facilmente ferirti, oppure ti fingi morto e ti arrendi? Snyder mi ha fatto capire un dettaglio fondamentale con questa descrizione: «Le vittime restano perché sanno che qualunque movimento improvviso potrebbe provocare l’orso. Restano perché con il tempo sono riuscite a sviluppare alcune strategie capaci di calmare, a volte con successo, il partner furioso: pregano, supplicano, promettono, adulano, dimostrano pubblicamente il proprio affetto per l’aggressore e gli si dimostrano alleate perfino contro le persone – come la polizia o gli avvocati o gli amici o la famiglia – che potrebbero salvar loro la vita. Le donne maltrattate restano perché vedono che l’orso si avvicina. E vogliono vivere».
Nel 1990 non si parlava di violenza di genere. Non c’era un linguaggio per definirla, si usava la scusa dell’amore, dell’eccesso di passione. Era facile non rendersi conto del pericolo. Liliana credette di poter gestire Ángel, la sua gelosia, il suo controllo ossessivo. Voleva essere libera. “Quanto vorrei che smettessimo di essere fate in una terra di ghiaccio”, aveva scritto in uno dei suoi bigliettini. Oggi abbiamo più strumenti per capire, per essere più consapevoli. Questo libro, per esempio. Vorrei che anche i maschi lo leggessero, senza sentirsi colpevolizzati. Il patriarcato fa male anche a loro, è questo che noi donne urliamo da tanto tempo. Non è una lotta tra sessi, non è una giungla. L’amore sano, basato sul rispetto reciproco e sulla parità è possibile, esiste. Ma non possiamo costruirlo da sole.
Da sinistra a destra: l’autrice Samanta Picciaiola, Cristina Rivera Garza e Giulia Zavagna di Sur, che ha tradotto per il pubblico le parole di Cristina.
Cristina Rivera Garza ci ha raccontato la genesi del suo libro: quando dopo trent’anni dalla morte di Liliana ha avuto il coraggio di aprire le scatole che contenevano quaderni, bigliettini e lettere della sorella - quello che oggi chiama “l’archivio di Liliana” - ha provato una sensazione che l’ha sopraffatta. Era come se Liliana fosse ancora lì. E non era una metafora, né una specie di realismo magico o qualcosa in stile new age. L’ultima mano che aveva toccato quelle carte era stata proprio quella di Liliana. Le sembrava di avere un contatto materiale con lei.
Cristina Rivera Garza provò due volte a scrivere questo libro, ci ha detto che ha ancora due manoscritti “terribili” che non farà mai leggere a nessuno. Il suo desiderio scrivendo era quello di ricreare la stessa sensazione d’immediatezza e di presenza che lei aveva provato aprendo le scatole. Voleva che anche i lettori potessero essere lì con Liliana.
Non intendeva però fare un’esegesi di sua sorella. Liliana non era una santa, come tutti noi era una persona piena di chiaroscuri. Una ragazza di vent’anni che stava scoprendo il mondo. La scrittrice allora si è messa in contatto, dopo tanti anni, con gli amici di lei. E ognuno di loro le ha regalato una Liliana che lei non conosceva.
Ma, prima di poter fare questo, è stato necessario far passare tanti anni. Anni in cui il lutto suo e della sua famiglia è stato intimo, privato e pieno di colpa. Ci sono voluti molti anni per costruire un linguaggio preciso, che non colpevolizzasse la vittima. Senza quel linguaggio - ci dice Cristina - non avrebbe potuto scrivere questo libro. Sono stati i movimenti di piazza che le donne latinoamericane hanno portato avanti negli ultimi anni a permettere che il lutto privato diventasse un abbraccio collettivo, una richiesta di giustizia.
E questo fa una differenza enorme. Una differenza politica.
Nel 2012, in Messico il femminicidio è entrato nel codice penale, qualche anno dopo è stata creata una procura dedicata ai femminicidi. C’è ancora tanto lavoro da fare, però, il femminicidio è un’epidemia silenziosa che va al di là delle frontiere: in Messico ogni giorno vengono uccise tra le 10 e le 11 donne, negli Stati Uniti tre. Al giorno. E in Italia non siamo messi meglio.
Cristina crede che sia fondamentale per le donne stare insieme, ascoltarsi anche se non sempre si è d’accordo su tutto. E se la storia di Liliana può essere un ponte per aiutare altre donne nella stessa situazione, Cristina pensa che lei ne sarebbe felice.
La conclusione dell’incontro è stata davvero toccante: Cristina ci ha spiegato che ha deciso di includere sé stessa nel libro perché non voleva lasciare Liliana da sola nell’arena. Voleva prendersi cura del momento in cui Liliana avesse incontrato il lettore o la lettrice. Allo stesso tempo, però, non voleva che il suo dolore fosse il cuore del libro. Voleva essere una presenza discreta, e ha prestato attenzione a quest’aspetto mentre scriveva. Le sembrava sempre di avere Liliana vicino che le diceva “non essere sentimentale!”.
Questo non è un libro che racconta tutto, che mette a nudo il dolore davanti al lettore e alla lettrice. L’indicibile rimane lì, sia perché ci sono cose che non si sapranno mai, sia perché è un dolore altrui a cui noi non siamo stati invitati. I libri devono anche sapere chiudere la porta, quando è necessario.
🎧 Consiglio musicale: nella sua ultima notte di vita, Liliana ascoltò insieme a un suo compagno di università una canzone, La ciudad de la furia di Sodastereo [pag. 245]. Sodastereo è stato un gruppo fondamentale nella storia del rock latinoamericano. Erano argentini, hanno pubblicato sette album tra l’84 e il ’95, arrivando a vendere oltre 17 milioni di copie nella sola America Latina. Il loro frontman, Gustavo Cerati, ha ispirato il nome di questa newsletter: sudestada è una canzone pubblicata nel suo album solista “Siempre es hoy” del 2002. “La ciudad de la furia” è senza dubbio Buenos Aires: la canzone fu scritta da Gustavo Cerati cinque anni dopo il ritorno della democrazia in Argentina, in un momento di particolare conflittualità sociale. Buenos Aires è oggi più che mai la città della furia, suscita in chi ci abita rifiuto e amore viscerale al tempo stesso.
Mi vedrai cadere, come una freccia selvaggia. Mi vedrai cadere, tra voli fugaci. Buenos Aires è così suscettibile. Questo destino di furia è ciò che nei loro volti persiste. Mi lascerai dormire all'alba fra le tue gambe. Saprai nascondermi bene e scomparire fra la nebbia. Un uomo alato preferisce la notte.
🎥 Una serie TV che potresti guardare: quando nel blog ho parlato del romanzo “Il deserto” di Jorge Baron Biza, ho accennato al fatto che Eligia, la madre del protagonista, fosse una rivale politica di Evita Perón. E il parallelo tra le due donne non finisce qui: entrambe hanno subito la violenza machista. Il volto di Eligia è stato sfregiato dal marito Arón con l’acido, e il corpo di Evita Perón dopo la morte prematura è stato imbalsamato, sfregiato e nascosto in un cimitero di Milano. Molto vicino alla clinica in cui era ricoverata Eligia. La storia tormentata e degna di un film di spionaggio che ha coinvolto il corpo di Evita Perón è raccontata in un’ottima serie di Disney+, “Santa Evita”, tratta dal romanzo omonimo di Tomás Eloy Martinez pubblicato in Italia sempre da Sur.
Se t’interessa saperne di più sull’incredibile vicenda della salma di Evita, Il Post ha pubblicato un articolo molto interessante qualche tempo fa.
🌎 Attualità: mi ricollego a ciò che diceva Cristina Rivera Garza sulla necessità di costruire un linguaggio preciso che ci permetta di parlare di femminicidio e di questioni di genere, per darti una notizia che dimostra invece quanto ci sia ancora da lottare per questo. Il presidente argentino Javier Milei ha di recente vietato il linguaggio inclusivo nella Pubblica amministrazione: «Non sarà possibile utilizzare la lettera “e”, la chiocciola (@), la “x”» e «si eviterà l’inutile inclusione del femminile in tutti i documenti». In un articolo uscito su La Stampa, la business writer Annamaria Anelli (che vi cito perché so quanto sia competente, è stata mia insegnante in un corso di copywriting) risponde a chi minimizza la gravità di questi interventi dicendo: «Non è vero che i problemi veri sono ben altri, perché dalle parole passa ciò che la società pensa per sé stessa, ma anche ciò che la società vuole, immagina, sogna per sé stessa e per le prossime generazioni».
Io per questo mese mi fermo qui. Grazie per aver letto fino in fondo, non è per niente scontato!
Spero di averti offerto spunti su cui riflettere e, se vorrai farlo insieme a me, ti incoraggio davvero a lasciarmi un commento qui sotto o a mandarmi una mail a hola@claveldelaire.it.
Ci risentiamo verso metà del prossimo mese, con una nuova tappa del nostro viaggio, e a fine marzo sul blog.
Un abrazo,
Rocío, alias Clavel del aire.
Il dettaglio dei "due manoscritti terribili"... quando le storie non vogliono uscire, o lo fanno in modi spiacevoli, complicati, storti.
Grazie per questa densa newsletter!!
Che bella scoperta la tua newsletter! Mi unisco al club delle amanti della letteratura latinoamericana, mia ispirazione da quando l'ho scoperta a 15 anni. Grazie 💙