Brevi interviste con donne meravigliose
Camila Sosa Villada e Guadalupe Nettel al Salone del Libro di Torino.
Mi sono permessa di parafrasare David Foster Wallace nel titolo, ma credo mi capirete… sono ancora in fase post-sbornia, e quando sei un’alcolizzata librosa non fai altro che pensare e desiderare con tutta te stessa un’altra bottiglia di Salone.
📚Camila Sosa Villada: la festa e la furia travesti
Era da dicembre 2023 che aspettavo questo momento, da quando Selena Daveri (mitica direttrice commerciale di Sur) mi aveva “spifferato” durante Più libri Più liberi che stavano cercando di portare in Italia Camila Sosa Villada. Avevo letto due anni prima Las malas in spagnolo (Le cattive, edito in italiano appunto da Sur) e ne ero rimasta folgorata. È uno di quei libri che, una volta finito, vorresti leggessero tutti. Ma in fondo sai che non è per tutti, purtroppo.
Vi confesso una cosa: ogni volta che inizio a scrivere una puntata di questa newsletter, mi sento inadeguata. Non sono una critica letteraria, anche se mi piacerebbe avere quel livello di raffinatezza e cultura. Spaziare tra mille riferimenti letterari, citare questo e quello, fare collegamenti cólti.
Ho sempre paura di scrivere cose banali, e passo giorni e giorni a documentarmi, scrivere e cancellare, chiedendomi se riuscirò mai a parlare di libri in maniera autorevole, come fanno Raul Schenardi, Federica Arnoldi o Francesca Lazzarato. Sono loro i miei riferimenti per la letteratura latino-americana, la mia guida nel tornare a casa.
Mi ero bloccata anche stavolta, ma è proprio lì che mi sono venute in soccorso le parole che Camila ha pronunciato in risposta a chi le rimprovera di avere una scrittura poco elegante:
Elegante per chi? Da che punto di vista? Come non è elegante? Credo che sia tempo di ascoltare i perdenti, chi non ha il linguaggio, chi parla male, chi pronuncia male le parole, chi non parla l’inglese, tutte quelle persone a cui è stata sottratta un’istruzione. Ecco, credo che lì ci sia qualcosa da ascoltare davvero.
Così, ho buttato fogli di appunti e inibizioni e ho pensato che, per essere davvero fedele alla voce di Camila, non dovevo perdermi in teorie e interpretazioni critiche, ma trasmettervi la sua lotta e la sua passione. Una passione che viene dalle viscere, che graffia con le unghie sbeccate. Che usa tutte le parole, comprese quelle dispregiative con cui il mondo di solito si prende gioco delle persone come lei, senza politicamente corretto, senza linguaggio inclusivo. Non trans, non queer, ma “travesti”, o “putos”.
Sulla trama di Le cattive si è detto di tutto, e non mi soffermerò su questo (vi segnalo comunque una bella recensione di Claudia Putzu su Latinoamericapop, se volete più dettagli). Ciò che forse non è tanto noto, è l’origine di questo romanzo: a diciotto anni Camila si trasferì a Córboba per studiare Comunicazione sociale all’Università. I suoi primi anni di vita sono fatti di case senza acqua potabile e corrente elettrica, con trappole nel giardino che suo padre metteva per catturare le volpi e i gatti selvatici che scendevano dalla sierra. Di edifici abbandonati dove il suo corpo acerbo di ragazzo si trasformava in una Cenerentola travesti con i trucchi che sua madre scartava, i profumi rubati nelle farmacie e i vestiti che cuciva con le tende di casa.
Di giorno era una studentessa, di notte una prostituta nel Parque Sarmiento. Raccontava la sua doppia vita in un blog, La novia de Sandro, che scriveva a mano e poi ricopiava in uno dei tanti internet point sparsi per Córboba. Quando qualche tempo dopo lasciò l’università per diventare attrice, decise di cancellare ogni traccia di quel blog. Se ne vergognava, non voleva che gli altri conoscessero il suo passato.
Ma un fan anonimo aveva salvato tutti gli articoli e, quando Camila cominciò a ottenere i suoi primi ruoli al cinema e al teatro, lui glieli inviò per e-mail.
Quando cominciai a travestirmi, mi vergognavo della mia barba ruvida, del mio naso e dei miei denti storti. Mi vergognavo di dovermi fare le tette con i bordi di un materasso. Mi vergognavo della mia mancanza di studio, di mondo, della mia goffaggine. Anche le mie virtù mi facevano vergognare, perché erano nate dai miei errori, dalle mie carenze.
Tuttavia, fu proprio rileggendo ciò che aveva scritto nel blog che Camila si rese conto dell’indole rivoluzionaria e incrollabile di quella sorellanza di travestis. Di quei corpi malridotti, violati e disprezzati, che però trovavano nella vulnerabilità la loro forza.
E così, Camila trasforma la vergogna, la paura, l’intolleranza e il disprezzo degli altri in una prosa lirica e brutale al tempo stesso. E fa qualcosa di radicale, di rivoluzionario: non racconta ciò che succede nel mondo sotterraneo dei travestis, come faceva e fa ancora tanta cronaca giornalistica. Ma racconta ciò che succede quando il mondo è immaginato, fatto e narrato con le voci e i corpi dei travestis. In Le cattive – come anche nella nuova raccolta di racconti pubblicata da Sur, Sono una pazza a volere te – sono le travestis a reinventare il mondo.
Denuncia rabbiosa, tenerezza, cronaca, barocco, realismo magico (o “fantascienza povera”, come la definisce lei stessa), tutto questo si sovrappone nella scrittura di Camila Sosa Villada, ma non si lascia inscrivere nelle forme letterarie esistenti, proprio perché viene da un corpo travesti.
Spesso le è stata fatta la domanda di quanto ci sia di autobiografico in ciò che scrive. Durante l’incontro al Circolo dei lettori di Torino, Camila è stata categorica:
Io mi chiedo perché volete da me che nel territorio della menzogna che è la letteratura io debba per forza fabbricare una verità. Mi sembra un atteggiamento molto aggressivo e anche in un certo modo una mancanza di rispetto, dover rendere conto della tua esperienza solo perché hai scritto un romanzo.
Se proprio dobbiamo cercare l’elemento autobiografico, la stessa Camila rivela che il primo racconto della raccolta, Grazie, Difunta Correa, è il brano più personale che abbia mai scritto: si tratta della cronaca del viaggio fatto con i suoi genitori verso il santuario della Difunta Correa (una figura pagana oggetto di grande devozione popolare in Argentina: si tratta di una donna – Deolinda Correa – morta di sete nel deserto a metà dell’800. Fu trovata da alcuni gauchos e, secondo la leggenda, il figlio attaccato al seno della donna era ancora vivo, salvato dall’amore della madre. Ancora oggi le persone che visitano il santuario a San Juan credono che, per ottenere favori dalla Difunta Correa, ci sia qualcosa da dare in cambio, solitamente bottiglie d’acqua).
Camila visitò il santuario con i genitori perché loro volevano chiedere alla Difunta la grazia e pregarla perché la vita della figlia cambiasse e smettesse di fare la prostituta. Aldilà del dato autobiografico di questo racconto, l’intera raccolta è ispirata a Dodici racconti raminghi di Gabriel García Márquez nel modo di saltare da un racconto all’altro come se si trattasse di un romanzo ma, allo stesso tempo, nel tentativo di dare voce a personaggi diversi ed esplorare universi apparentemente lontani.
Considerando quanto detto finora, ci risulta chiaro ormai che per Camila Sosa Villada la letteratura non sia qualcosa di sacro, non appartiene alle persone illuminate. Il suo avvicinamento alla scrittura è stato un po’ pagano.
Tuttavia, le preme insistere su un fatto: la contrapposizione tra orrore e momenti di luce non è limitata ai gruppi marginali e minoritari, o soltanto all’esperienza della comunità trans. Ci invita a riflettere su quanto orrore ci è capitato di vedere da bambini, su quante volte abbiamo visto un padre picchiare una madre o il più forte picchiare il più debole, o assistere a delle ingiustizie in una scuola, o vedere un imbecille prendere a calci un cane.
Voi tutti non siete così diversi forse da questi gruppi marginali, e dall’esperienza della comunità trans. Credo che la letteratura sia oracolare, credo che possa servire da avvertimento per tutti noi.
📚Guadalupe Nettel: il fantastico delle vite normali
Al Salone Guadalupe Nettel, intervistata da Ester Viola, ha parlato in particolare della sua racconta di racconti La vita altrove, pubblicata nel 2023 da La Nuova Frontiera.
Anche qui, non vi farò un elenco dei singoli racconti e dei temi trattati perché se n’è già parlato tanto (vi segnalo comunque qui l’ottima recensione di La lettrice geniale). M’interessa piuttosto raccontarvi ciò che Guadalupe ha condiviso con il pubblico durante l’incontro.
La pandemia è molto presente in questa raccolta: Guadalupe racconta che il lockdown, l’esperienza di vedere così da vicino e in maniera così brutale la fragilità umana hanno influenzato profondamente il suo stato mentale mentre scriveva. I suoi personaggi sono individui senza bussola, vagabondi (il titolo spagnolo della raccolta è infatti Los divagantes).
Guadalupe Nettel tratta temi come il fallimento, le omertà emotive, i difficili equilibri familiari e la fine delle relazioni con un linguaggio asciutto ma affascinante, intrecciando realismo e perturbante in maniera del tutto credibile. Il suo talento, come dice Ester Viola, è quello di rendere massimi sistemi in una scrittura intima.
Uno dei temi principali della scrittrice messicana è sicuramente l’infanzia. L’infanzia felice è un’invenzione moderna, non esisteva fino a vent’anni fa, prima era soltanto questione di farla passare. Eppure, il modo in cui le persone pensano e il modo in cui cercheranno poi di farsi una vita altrove è lì, nell’infanzia.
Albatri vaganti, uno dei racconti della raccolta, a mio avviso riassume nel bellissimo incipit l’infanzia secondo Guadalupe Nettel:
L’infanzia non finisce tutta in una volta come avremmo voluto da bambini. Rimane lì, rintanata e silenziosa nei nostri corpi maturi, poi appassiti, finché un bel giorno, dopo molti anni, quando crediamo che il carico di amarezza e di disperazione che portiamo sulle spalle ci abbia irrimediabilmente trasformato in adulti, ricompare con la rapidità e la potenza di un lampo, ferendoci con la sua freschezza, con la sua innocenza, con la sua dose infallibile di ingenuità, ma soprattutto con la certezza che quello sia stato, davvero, l’ultimo barlume che abbiamo avuto.
Al tema dell’infanzia si ricollega necessariamente quello della maternità. Guadalupe nota come sia in Messico che in Italia ci sia un’immagine di madre quasi divina: la madre che è sempre lì per salvarci, che provvede a tutto. Per le donne, quindi, è molto difficile essere all’altezza di questo ideale, perché tutte le madri sono imperfette e non potranno mai avvicinarsi a questa figura mitica e idealizzata.
C’è sempre questo senso di colpa che pesa sulle donne che decidono di avere figli, una sensazione di inadeguatezza che le limita moltissimo. La maggior parte delle donne in Messico, dice Guadalupe, non ritorna al lavoro dopo avere avuto un figlio, e questo perché il sistema sociale scarica tutta la responsabilità dell’educazione sulle madri. Per Laura, la protagonista di La figlia unica, la decisione di non avere figli è infatti una forma di protesta.
Ci sono sicuramente dei modi per rendere la maternità e l’educazione più facili e più piacevoli per le donne, ma questo sarà sempre impossibile finché persiste l’ideale della madre che si sacrifica.
Infine, la domanda a cui nessuno scrittore o scrittrice sfugge: perché scrivere? Guadalupe risponde così:
Se non scrivo mi ammalo, so che questa è la mia forma di giustificare la mia esistenza. Credo che ci sia come un’alchimia nell’atto di scrivere; tutto questo piombo, questa pesantezza e ansia che caratterizza la nostra epoca si può trasformare attraverso la scrittura in qualcosa che possa ispirare gli altri, mettermi in connessione con gli altri. Questa trasformazione alchemica del piombo in qualcosa di utile per me è la scrittura.
🎧 Consiglio musicale: Il racconto che dà il titolo alla raccolta Sono una pazza a volere te di Camila Sosa Villada è tratto dalla canzone I’m a fool to love you di Billie Holiday, che è non solo la sua cantante preferita, ma anche una donna a cui Camila si sente particolarmente affine: entrambe hanno lo stesso modo di mettere insieme come possono i pezzi della loro vita e salire sul palcoscenico. La canzone è contenuta nell’album Lady in satin, struggente e magico. La voce di Billie Holiday è priva di un’educazione tecnica, danneggiata dall'alcool, dalle droghe e da una vita piena di dolore, ma proprio per questo riesce a creare un rapporto intimo e commovente con il pubblico. La stessa cosa che fa Camila Sosa Villada con i suoi lettori e le sue lettrici.
🎥 Da vedere: Qui trovate la registrazione dell’incontro a Roma organizzato nell’ambito di Più Libri Tutto l’Anno il 13 maggio, in cui Camila Sosa Villada dialoga con Teresa Ciabatti. A tradurre c’è come sempre la bravissima Giulia Zavagna, e l’attrice Matilda De Angelis legge qualche brano sia da Le cattive che da Sono una pazza a volere te.
Vi lascio poi una chicca allucinante: un dialogo tra Guadalupe Nettel e Mariana Enriquez (sottotitolato in inglese).
Ci risentiamo come sempre a metà giugno qui e a fine maggio sul blog, dove questa volta andiamo in Colombia!
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Che gioia questa newsletter 💙
Proprio in questi giorni sto leggendo Las malas e sono stregata, so già che mi dispiacerà finirlo! E che dire di Nettel, ho ancora tanto da recuperare di suo, ma avevo scelto di iniziare da La figlia unica proprio perché il tema della non maternità mi è tanto caro. Grazie mille per questo scorcio di Salone che ci hai aperto!
Camilla e Guadalupe, bravissime! Tra le mie preferite! Grazie!